L’entusiasmo settembrino quest’anno, come molti altri nel passato, è andato a farsi benedire.
C’è poco da fare, non è che se uno torna dalle vacanze col corpo, vuol dire che anche la testa e il cuore lo abbiano seguito. Io infatti non sono ancora per davvero tornata, il mio sederone è qui ma la testa non so dove l’ho lasciata. Settembre è il mese della confusione, per questo straziante motivo che gli organi non sono mai consequenziali, e non so mai se sono nel baratro della pigrizia e dello scoraggiamento o all’apice dei buoni propositi; è una condizione talmente variabile che la trovo ingiusta e oggi forse ho capito perché: il nostro calendario gregoriano è illogico e contro natura.
Divide l’anno in periodi velleitari che non prendono in considerazione i flussi emotivi e i raccolti stagionali. Cosa mi rappresenta l’1 settembre se fa caldo come il 31 agosto, se l’aereo costa come il 31 agosto, se ancora ho bisogno del pisolino dopo pranzo? Niente, appunto.
Chi ci aveva visto lungo erano gli ebrei, che festeggiano capodanno ad ottobre, e ancor di più i rivoluzionari (bei tempi) francesi: al ritmo degli spostamenti astrali, che secondo me è la scelta migliore, avevano suddiviso l’anno in mesi con dei nomi degni di Rudolf Steiner e Harry Potter: quel che ora è il nostro dibattuto settembre, ad esempio, si divideva tra Fruttidoro (18 agosto – 16 settembre, vergine) e Vendemmiaio (22 settembre – 21 ottobre, bilancia). In quel buco tra il 16 e il 22 c’erano i best giorni, detti sanculottidi, un appellativo che non promette nulla di buono, e invece:
- Giorno della virtù (17 settembre)
- Giorno del genio (18 settembre)
- Giorno del lavoro (19 settembre)
- Giorno dell’opinione (20 settembre)
- Giorno delle ricompense (21 settembre)
- Giorno della rivoluzione (22 settembre, solo negli anni bisestili, questo).

Se torni dalle vacanze in pieno Fruttidoro, ma come ti potrà mai venir voglia di lavorare?
L’estate, e anche qui l’etimo la dice lunga, prende il nome dalla radice sanscrita idh- o aidh- , dal greco αἴθω, dal latino aestas = calore bruciante che esprime l’idea di ardere, infiammare, accendere.
Siamo nel periodo dell’esplosione esterna, dove non bisogna far nulla perché i frutti stanno maturando dorati sui rami e raccoglierli ora sarebbe da pazzi. Basta star lì, sdraiati sotto gli alberi con le braccia incrociate dietro la testa, aspettare, mangiare qualche mela dell’anno scorso, abbronzarsi un po’, bere tanta acqua, ingrassare e ardere di amori estivi.
A luglio dunque, prima di partire, mi ero ingannata ripetendomi cose come: quest’estate scriverò di più, mi verrà un’idea geniale per un romanzo che scriverò senza nemmeno accorgermene, mangerò di meno, berrò meno vino e più acqua, nuoterò di più bla bla bla, e infatti son tornata pasciuta e contenta, senza una riga scritta e colma di sensi di colpa e adipe. Non ho nemmeno molta voglia di scrivere questo post, per dire, ma ho i sensi di colpa.
Però, tra termidoro (luglio-agosto) e fruttidoro:
mi sono avventurata e poi persa nel bosco di Biancaneve a Sasseto,

ho solcato il mare da Ponza alle Eolie in una barca svedese del 1961 scoprendo che l’Italia conta 58 isole e che la maggioranza di queste si trova in Sardegna e Veneto,
sono approdata ad Alicudi tuffandomi dalla barca del ’61, quindi ci sono arrivata tecnicamente a nuoto,
ho conosciuto una signora di 91 anni militante comunista, ex dirigente di partito e sindacato, cattolica, che ha lottato per il diritto al divorzio e all’aborto;
ho quasi pescato un polipo,
ho visto due murene e sono ancora viva,
ho assistito quotidianamente alla mangianza dei tonnetti e ho scoperto che erano tutti cuccioli, e quindi ho dedotto che i tonni siano genitori molto permissivi e libertari che aspettano i loro figli tonni negli abissi guardandoli da sotto, e questo mi è piaciuto.
Una vacanza d’altri tempi, dove ho imparato che godersi un pranzo è giusto e avere i sensi di colpa dopo le vacanze è sbagliato.
Perché poi è il turno dei sanculottidi, dove a questo punto non si può più procrastinare, che nel mondo ideale dovrebbero essere la settimana di decompressione, il momento del raccoglimento interiore e del raccapezzarsi: che minchia farò quest’anno per dare un senso al mio passaggio sulla terra?

Io ho così interpretato i giorni di mezzo, e mi atterrò al piano:
- il 17 settembre, mi siederò su una sedia di fronte a una finestra e, con un taccuino in grembo, riepilogherò le mie virtù e me ne inventerò di nuove, qualora quelle accumulate non dovessero bastare.
- Il 18 mi sposterò alla scrivania, che avrò spostato a sua volta di fronte alla finestra, ci sparpaglierò sopra le virtù, e individuerò il genio al quale possano servire i miei talenti. Il giorno del genio è il più difficile perché non tutte le virtù sono in apparenza utili al mondo. Ma se il giorno del genio durasse due giorni, poi seguirebbe il giorno di Mauro Repetto, l’inutile del gruppo, quindi bisogna essere sbrigativi ma convinti.
- Il 19 settembre penserò alle applicazioni possibili della mia nuova rivoluzione. Anche in questo caso i rivoluzionari francesi avevano previsto che 24 ore fossero ideali, dalla 25esima in poi il rischio di divagare è alto.
- Il 20 è il momento delle indagini di mercato e dei piani quinquennali.
- Il 21 andrò in banca a controllare cosa ho sperperato nel mese della cicala e a chiedere un prestito, o chiederò alla nonna, vediamo. A fine giornata, mi ricompenserò mangiando e bevendo, con ottimismo rinato.
- Il 22 dovrò svegliarmi presto, bere un bicchiere di acqua con limone e zenzero, andare in bagno, fare il saluto al sole, bere il caffè e cominciare la rivoluzione.
Per il 2016/2017 consiglio a tutti di stracciare il calendario di Frate Indovino, e intanto questa è la mia canzone fruttidoriana: