Ci sono due questioni che mi hanno portata a passare da lettrice di almeno 24 romanzi all’anno a circa 7-8, e sono entrambe correlate all’esistenza di portarsi il pc a letto e sono: le serie tv e la temperatura.
Ai tempi in cui non esisteva di portarsi un computer tra le lenzuola, passavo le mie notti insonni a leggere fervidamente, ostacolata solo da:
- la posizione, che a pancia in su con libro appoggiato su tette trovo scomoda, a pancia in giù, cuscino sotto al mento e libro oltre non riesco a mantenere per molto, di fianco con libro piegato in due, mi fa venire male a un occhio. Così era un circuito di cambio posizione alternata, e risvegli in preda alla cervicale.
- il freddo: il libro ha quello svantaggio che ti porta a dover tenere le mani, le braccia e le spalle fuori dal piumone e spifferi dentro. Non è che a casa mia vivessimo come Oliver Twist, ma a Milano il freddo è rigido, i termosifoni di notte sono spenti e io non ho mai posseduto una di quelle brutte coperte con le maniche.
Dunque da settembre a maggio leggere era appagante ma comportava i suoi sacrifici.
Da quando esiste che mi posso portare il pc nel letto ho scoperto che nelle freddi notti invernali non c’è niente di meglio che utilizzare il computer come scaldaletto, spostandolo dalla pancia alle lenzuola a seconda del torcicollo e dei gradi di calore raggiunto, e addormentarmi con il brusio anglofono delle 200 serie che seguo con costanza.
Inoltre le migliori serie (Grey’s Anatomy, Girls, New Girl, insomma quelle da femmine) terminano a maggio. Mese nel quale il computer a letto non lo preferirei nemmeno a un’invasione di zanzare.
Ed ecco che il libro stampato riacquista il suo perché: è fresco, maneggevole, ti ci puoi fare aria e ammazzare le zanzare. Con il kindle è meglio di no.
Arrivati da un pezzo nella stagione della lettura, Per Chi Volta il Cul a Milan (con inserti già proposti e un po’ datati ma sempre in voga) ho stilato una serie di Volta il Cul o Svolta il Cul grazie ai libri.
In effetti sono stata svoltata da un libro prima ancora di nascere. Per ingannare i nove mesi che son serviti a farmi venire alla luce, entrambi i miei genitori lessero, tra le altre cose, un romanzo dell’amatissimo Jorge Amado Vita e miracoli di Tieta d’Agreste. Entrambi riuscirono anche a terminarlo prima della mia comparsa ragion per cui, nell’indecisione di due fricchettoni, Tieta è il nome che mi porto addosso.
Tieta è un nome che mi piace molto e che oramai non identifica altri che me, ma Tieta è anche un nome che mi ha fatto perdere parecchio tempo prezioso negli anni a venire.
“Come ti chiami?”
“Tieta”
“Eh?”
“Tieta”
“Eh?”
“Tieta”
“Greta?”
“No, Tieta. Con la T di Torino”
“E che nome è?”
“Brasiliano”
“Sei brasiliana?”
“No”
“Come ti chiami?”
“Tieta”
“Eh?”
“Tieta”
“Eh?”
“Tieta”
“Pietra?”
“No, Tieta. Con la T di Torino”
“E che nome è?”
“Brasiliano”
“Sei brasiliana?”
“No”
“Come ti chiami?”
“Tieta”
“Eh?”
“Tieta”
“Eh?”
“Tieta”
“Greta?”
“No, Tieta. Con la T di Torino”
“E che nome è?”
“Brasiliano”
“Sei brasiliana?”
“Vabbè, sì”
“Wow”
FASE INFANZIA
Prima che qualcuno mi insegnasse a leggere, era il mio babbo a farlo in vece mia, ad alta voce ogni sera, dopo essermi lavata i denti e infilata a letto. Nei primi mesi dei miei primi quattro anni di vita, stavamo affrontando Il fantastico Papà Volpe di Rohal Dahl. È la storia di una famiglia di volpi che vive in una tana su una collina, alle pendici della quale abitano e lavorano tre avidi fattori nelle loro fattorie: una colma di sidro, la seconda di oche e anatre e la terza di polli e salumi. Papà Volpe tutte le sere, introducendosi furtivamente nelle dispense, ruba ai malvagi fattori per sfamare la sua famiglia. La fine non ve la racconto. Non so se fosse l’abilità di mio padre nel leggere le storie o l’abilità di Dahl nel raccontarle, ma io da quando ho quattro anni vado ghiotta per il sidro, le oche, i polli, i salumi e soprattutto per le anatre. E, a parte il pollo e il prosciutto, ho dovuto aspettare almeno altri quattro anni per mangiare un’anatra, sei per il fois gras e otto per il sidro. Sono di indole vegetariana, ma papà volpe mi ha insegnato cos’è l’istinto. E perché si dice “divorare un libro”.
Parecchio tempo dopo, oramai autonoma nella lettura, mi fu regalato Per deserti e foreste di tale Henryk Sienkiewicz: l’epopea di due ragazzini, maschio e femmina, inglesi a Porto Said che dopo essere stati rapiti e poi sfuggiti ai rapitori, si trovano sperduti nell’Africa Nera, vagano per deserti e foreste, corrono innumerevoli pericoli, riescono a tornare a casa. Io avevo dieci anni, stavo trascorrendo le mie due settimane di vacanza in Grecia totalmente assorta e coinvolta nelle avventure dei due, e mi ero quindi pazzamente innamorata del protagonista maschile, che aveva giusto giusto pochi anni più di me ed era biondo.
Una volta giunta alla fine del libro, ecco l’epilogo. Questa volta va svelato perché, divenuti maggiorenni, quei due scampati alla morte si sposano. In quel momento sentii per la prima volta il cuore farsi in mille pezzettini dentro il mio petto ancora piatto, e una delusione, una tristezza e un’invidia che non avevo modo di esprimere e che durò il doppio del tempo che ci avevo impiegato a leggere il romanzo.
Poi mi passò, e verso fine luglio ero innamorata del barista del rifugio in montagna. Quell’estate imparai che tutto scorre, sia l’innamoramento che le pene d’amore, scorre via così tanto che non mi ricordo più il nome del mio amato inglesino.
La doppietta è toccata a Rasmus e il vagabondo di Astrid Lindgren e i cartocci di mou che riusciva ad ottenere di tanto in tanto e che facevano la sua felicità, ma poi lui non si è sposato, io non ho sofferto e ho continuato a sbavare per quei dolci che comunque ho solo trovato in forma di caramella e mai di cartoccio.
FASE ADOLESCENZA
Sorpassate le scuole medie, il medioevo della mia esistenza, in quarta ginnasio mi fu dato da leggere Un falco nella notte. Cavallo Pazzo, guerriero sioux di Vittorio Zucconi. La storia di Cavallo Pazzo, appunto. Quel libro, ma più il suo protagonista storico, mi ha instillato il senso di giustizia, la rabbia dell’impotenza nel sopruso, la ricerca del vero e dell’autenticità. A quattordici anni soffrivo perché la disfatta dei Nativi era fatto già avvenuto più di un secolo prima e io non avevo potuto contribuire alla resistenza, non avevo potuto lottare per la libertà, non avevo potuto conoscere una certa purezza. Ho riletto il libro subito dopo, l’ho riletto dieci anni dopo e ogni tanto ora lo sfoglio per non dimenticarmi.
E proprio come i Nativi, il passo successivo fu quello di leggere venti volte di seguito Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino di Christiane F., nell’edizione che fu di mia mamma. E niente, mi fidanzai con quello che più si avvicinava a un eroinomane che potevo trovare nel mio liceo classico di Milano centro, mi avvicinai al favoloso mondo delle droghe, venni bocciata in quinta ginnasio, ma poi ebbi anche giudizio. La svolta è che non sono una tossica.
I Grandi Classici che ho dovuto leggere a scuola sono stati ciò che più si allontana dal segnare un passaggio, perché a scuola ero troppo scema per trarre vantaggio dagli obblighi.
FASE TARDA ADOLESCENZA – ADULTEZZA
Ci sono stati parecchi romanzi poi che mi hanno accompagnato fino all’età adulta attuale, ma più che svolte sono state prese di posizione di dove volessi stare nella vita e di coscienza di cosa volevo che fosse la vita, a partire dal realismo magico con l’intera opera di Gabriel Garcia Marquez e del già citato Jorge Amado.
Peter Pan nei Giardini di Kensington di J.M Barrie e La mia famiglia e altri animali mi hanno insegnato l’ironia nel racconto e dire qualcosa dicendo qualcos’altro, Il Diario di Adamo ed Eva di Mark Twain mi ha fatto ridere fino alle lacrime e piangere di gioia ed è il libro che più ho regalato, Avventure della ragazza cattiva di Vargas Llosa mi ha accompagnato nella mia scelta di cambiare città, fidanzato e lavoro, tutto insieme e Memorie d’una ragazza per bene di Simone de Beauvoir mi ha dato la forza per farlo.
ULTIMI
Ma i libri che mi hanno salvato sono tutti quelli letti fino alle sei del mattino quando, cercando di attraversare in apnea periodi proprio infami, ho scoperto che con l’immersione nella lettura vorace il tempo passa senza che me accorgo e quando torno a galla è tutto un po’ più semplice. Oltre all’intera saga di Harry Potter, Anna Karenina di Lev Tolstoj, Trilogia della Città di K di Agota Kristoff, tutto Jean Claude Izzo, Opinioni di un clown e Foto di gruppo con signora di Heinrich Böll, Jules e Jim e Le due inglesi e il continente di Henri-Pierre Roché, l‘Arte della Gioia di Goliarda Sapienza, La famiglia Karnowski di I.J. Singer.
Al momento sono impegnata con Per chi suona la campana di E. Hemingway.
Veramente mi sembra di dimenticare un sacco di libri, qualcosa di maggiormente colto e raffinato, forse. Sarà che ho il pc appoggiato addosso e non capisco più nulla. Se ci sono refusi, pure, non riesco a resistere oltre.
Parto tra non molto, se volete consigliare letture estive sarebbe bello!