Roma è la città del cinema e della politica, ed io a Roma, in questa ottica, c’entro come i cavoli a merenda.
La mia cultura cinematografica, nonostante possegga una laurea in questa settima arte – scelta con l’incoscienza dei vent’anni – mi posiziona al livello dell’italiano medio: vado al cinema in occasione del cine-panettone di Woody Allen, il mio film preferito è Mary Poppins,
e non ho mai visto I soliti ignoti.
Per non parlare della politica: mi interesso al micro e al macro, ma di quel che succede a Montecitorio ne so poco o niente. Compro il Corriere della Sera solo in estate, e leggo le pagine di politica italiana con lo stesso stupore con il quale leggo la sezione ‘Vanity Vip’ di Vanity Fair: davveroo??
Tuttavia gli eventi della vita sono misteriosi, e stupefacenti le reazioni con le quali reagisci ad essi;
mi son trovata a casa da sola per qualche giorno, e lavorare a casa, da sola, è una cosa che mi abbruttisce enormemente: rimango in pigiama fino al momento di dovermi mettere il pigiama, non parlo con nessuno, nemmeno ad alta voce da sola, che se qualche amica mi telefona alle ore 18, come dico «Pronto» mi risponde «Ma ti sei appena svegliata?»
Beh, no. È che “pronto” è la prima parola che pronuncio da 24 ore.
Ho dunque deciso di dare una smossa alla mia giornata, facendo una cosa che non avevo mai fatto – perché non ne ho proprio mai per niente avvertito l’esigenza – fino a quel momento: andare al cinema da sola.
Io che a Milano sono la regina della piazza.
Capitava che proprio a pochi passi da casa venisse proiettato un documentario pluripremiato diretto da colui che, nei fausti giorni milanesi, era il mio dirimpettaio, nonché compagno di liceo: al cinema Apollo Undici, Il Gesto delle Mani, di Francesco Clerici.
L’Apollo Undici è un cinema che pensavo esistesse solo a Berlino Est, o a Parigi bohemien, o New York off off: uno scantinato underground, senza poltrone da cinema, ma con panche imbottite, con una programmazione 100% indipendente e di qualità (credo, anche se non proiettano La verità è che non gli piaci abbastanza). Infatti non è un cinema, è un’associazione culturale e sta in via Nino Bixio 80b, quartiere Esquilino, Roma.
Un posto che prima di andartene, ti vien voglia di fare una foto, e di tornarci. Tipo che vorrei fare un abbonamento, per doverci tornare nonostante la mia ignoranza.

Il Gesto delle Mani, invece, segue le 77 ore di lavorazione di una statua di bronzo, plasmata dapprima in cera da Velasco Vitali (scultore italiano noto ai più) e poi, momento in cui il documentario inizia per davvero, presa in carico dagli artigiani di una fonderia milanese, i quali danno corpo all’anima.
Chiunque abbia affrontato i primi capitoli di un qualsiasi libro di storia dell’arte si sarà imbattuto in un paragrafo nel quale, per sommi capi, viene spiegato il processo di lavorazione dei Bronzi di Riace: “e poi versavano il bronzo fuso in un calco di cera.”
Solitamente tale capitolo viene affrontato a scuola e nell’adolescenza, periodo nel quale porsi delle domande al di fuori di “quello me lo faccio, o no?” oppure “la vita sarà tutta così infame, o no?” è un’eccezione, ma questo procedimento per il quale si possa versare una sostanza metallica fusa dentro ad un’altra sostanza che si fonde solo a guardarla, lasciava perplessi pure i più insensibili agnostici.
Il film di Francesco non ne svela l’arcano, ed è per questo che rimane un film magico.
Anche perché, il film di Francesco, dura 77 minuti di sole inquadrature delle mani degli artigiani del bronzo, senza dialoghi, senza voci fuori campo, senza scritte, senza frecce rosse a indicare su cosa focalizzarsi: è una magia che io sia rimasta sempre vigile, per me che ho russato nei primi 20 minuti de Il Lato Positivo, di Buena Vista Social Club, di Quasi Amici.
Tutti film che, una volta sveglia, ho amato.
Eppure volano ‘sti minuti, volano così tanto che alla fine ne vorresti ancora un po’.
Come dice il regista, ognuno segue un proprio filo e dà interpretazioni differenti a questi gesti delle mani che si ripetono immutati dai tempi dei Bronzi di Riace: io, quando sono in difficoltà di concentrazione e sento che sto perdendo il filo, lascio che si perda, perché ho fede del destino.
Se è destino che io capisca, capirò, altrimenti amen.
Per esempio, de La Grande Bellezza ho perso il filo alla fine della prima scena, l’ho lasciato andare, non l’ho più ritrovato, e amen.
Ne Il Gesto delle Mani avevo paura di perdere il filo proprio quando mi avrebbero spiegato come la cera sopporti e supporti il bronzo fuso.
Forse l’ho perso, ma bene così, forse non era quello l’importante.
Quello che ho trovato io, e che mi è sembrato importante, è il piacere della meticolosità – a me totalmente estranea – della ripetizione, della calma, della pace. L’importante è che mi stupisca e mi incuriosisca, e che non sappia come vada a finire. Non ti annoia, è pazzesco.
Durante la proiezione, anzi, ti dà modo di pensare: io ho pensato al mio papà, che se dovesse essere una sineddoche (daje: wikipedia.org/wiki/Sineddoche) sarebbe una mano, che non ripete mai lo stesso gesto uguale, che è piena di graffi e calli e che riconoscerei pure tra altre mille come la mano che mi accompagna da sempre (‘ché nell’altro blog si lamentava che parlavo solo della mamma: beccati questa!).
Ho pensato al lavoro manuale, a quella sensazione di dover spostare la concentrazione dalla testa alle mani, che a volte ti incatena nella routine ma che ti permette di delegare la fatica ai piani bassi e far volare le idee.
Cercatelo nei migliori piccoli cinema della vostra città, ne vale la pena. Lo pensano anche i berlinesi (a Roma verrà riproiettato sempre all’Apollo Undici, sabato 19 dicembre 2015 ore 16).
E io andando al cinema da sola ho fatto un gesto nuovo, non da me;
e ora lo ripeterò, perché son finita nella L.A. de noartri e mi tocca interessarmi pure al cinema;
e poi ho una nuova amica, su Facebook per ora, che ho conosciuto ieri,
dunque funziona.
Guarda Tieta mi fido sulla parola perchè l’idea di vedermi 70 minuti di primi piani di mani confesso che mi turba un po’!!!
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Anche a me turbava, e invece…
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Ma si vedono anche facce! È un bel film e pure fatto bene.
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