Quando avevo 10 anni mia mamma mi anticipò che mi avrebbe in seguito obbligata a frequentare il liceo classico, avallando la sua ferma decisione con termini quali metodo, classici, greco.
Giacché dovevo ancora terminare la quinta elementare, lì per lì l’imposizione materna non destò in me alcuna emozione, se non l’immagine di andare in una scuola dominata da un lungo corridoio decorato a greche, attrezzato con una sbarra dove gli studenti si sarebbero allenati con metodo in danza classica.
Okkey.
Quando venne il momento vero di iscriversi al liceo, mia mamma non aveva cambiato la sua posizione, io invece, che nel frattempo mi ero fatta un’idea dello studio e della non mia particolare propensione ad esso, avevo cercato in ogni modo di sottoporle alternative artistiche, sportive, linguistiche, magistrali, ma di grazia non classiche. E così non fu.
Feci il mio ingresso al Liceo Classico Statale Cesare Beccaria, è lì ci rimasi per ben sei anni. Nonostante le ritrosie, il sudore della fronte, i mantra: che (cazzo) mi servono latino e greco e ma dove sta ‘sto metodo che io non l’ho per nulla appreso, una volta diplomata, mi è rimasto un amore profondo per la storia e la cultura latina e greca, li mortacci loro. Mi commuovono più i greci, però quando gironzolo tra i Fori e penso che pure i patres calpestavano quelle stesse pietre, beh, mi luccicano gli occhi e mi viene un tonfo al cuore, di orgoglio e riverenza.
A Roma è uno sballo, dunque, e ancora di più lo è da quando il ritmo è quello della pedalata. Stavo andando a Ostiense per una cosa di lavoro, ho attraversato Piazza Vittorio, mi sono infilata tra i vialetti ordinati dell’ Esquilino e seguendo le indicazioni di Google Maps, ho tagliato nel parco di Colle Oppio e sbam, all’improvviso è Colosseo.
Non è che non lo avessi mai visto, ma trovarmelo in mezzo al mio percorso mi ha emozionata perché qui non è che vai al Colosseo, il Colosseo c’è, è in mezzo a noi.
Pochi metri dopo che mi trovo alla mia destra se non il Circo Massimo? Che è lì, circondato da trafficati snodi stradali, resistente. Roba che a Milano mi fermavo a contemplare quelle quattro pietre che sono rimaste del circo in Via Brisa, in estasi. Qui sono dovuta arrivare in ritardo all’appuntamento per riprendere fiato.
Non per la pedalata, usare la bici a Roma è molto molto più facile di quanto mi avessero minacciato e, per inciso, non capisco perché non lo facciano tutti e, per inciso, penso che sia davvero incivile che non contempliate tutti questa possibilità e, per inciso, al guidatore che a Piazza Venezia ha detto a me e alla accostata mia amica ciclista “stiamo già stretti, se vi ci mettete pure voi” aaaarrrrgghhhh.
Quella strada poi l’ho ripercorsa paro paro per andare al Roseto Comunale di Roma Capitale, un posto effimero e romantico, stranamente sconosciuto ai più. Alle 15 di un mercoledì pomeriggio, sembra di stare nel film “Il Giardino Segreto”, non ci si può credere da quanta bellezza e quanto profumo e quanta delicatezza a pochi passi dalla caciara de roma.
Il Roseto, un prato costellato di diverse specie di rose e circondato da un grazioso e spelacchiato tunnel di rampicanti, era adibito fino a un secolo fa a cimitero ebraico.
Cristiani da una parte, ebrei dall’altra.
Quando poi la civiltà si fece meno astiosa, esumarono i cugini e li trasportarono al Verano. Il giardiniere del Roseto ha specificato “la gran parte”.
Molto prima ancora, questa pezza dell’Aventino ospitava il Tempio di Flora, dea romana dei fiori che veniva omaggiata in occasione dei Ludi Florales, ovvero celebrazioni volte a propiziare la fecondità della terra. Quando c’era di mezzo la fecondità, a Roma, si faceva trentuno e in un attimo era sesso, seni, tuniche che saltano, musica e vino. In effetti come adesso, e anche senza bisogno della scusa della primavera.
Quando, grazie al volere e soprattutto alla donazione della collezione di rose di Mary Gayley Senni – una contessa americana residente a Roma, le pendici dell’Aventino tornarono ad essere dedicate ai fiori, tributarono il vecchio cimitero dando ai viali del Roseto la forma di Menorah, il candelabro a sette bracci tipicamente ebraico. Si capisce solo se, come me, guardi Google Maps in modalità earth e street view per capire quanta fatica si farà per raggiungere la meta in bicicletta.
Il Roseto è in via di Valle Murcia 6, aperto fino alle 19.30 da aprile a giugno.
Il 22 maggio sarà premiata la rosa più bella!
Le foto, quelle belle, sono state scattate dalla mia amica Nina.