Per ogni spettacolo a teatro che trovo bello o almeno divertente, ce ne sono nove che invece mi sembrano cagate belle e buone.
Siccome ai tempi in cui andavo a teatro più sovente, non lo era comunque abbastanza per non assistere in percentuale maggiore alle cagate piuttosto che agli spettacoli interessanti, ho un po’ smesso di andarci.
Ci sono gli estimatori veri, e io non sono tra loro, soprattutto non lo estimo quando mi infilo nei teatrini off off off che propongono un’avanguardia che è data dalla mancanza di riscaldamento, e basta;
spesso inoltre mi viene il dubbio di star assistendo, più che a una rappresentazione teatrale, a un duello tra l’autore e il pubblico – a chi riesce a dimostrare maggiore intelligenza e arguzia.
Con me vince facile l’autore: mi basta entrare in un teatro per sentirmi già un po’ più intellettuale, ma se devo assistere a tre ore di messinscena aspettandomi che tu, regista, voglia farmi passare per scema a tutti i costi, allora preferisco sentirmi superiore a casa mia guardando Grey’s Anatomy e pensando di saper eseguire una tracheotomia d’urgenza (ora che siamo alla dodicesima stagione).
Dal mio canto di ignoranza, apprezzo chi invece riesce a comunicare sentimenti di spessore con leggerezza intellegibile, che è dote di pochi.
D’altro canto però, essere a Roma mi fa venir voglia di cambiare le mie credenze e alleviare le mie resistenze: non dico più di no a un invito a teatro.
Così è stato: spinta dall’entusiasmo di un’amica giunta alla visione della sesta replica, sabato sera sono andata a vedere:
Un fulmine a ciel sereno,
con Paolo Macedonio,
di Paolo Macedonio e suo cugino Alberto Lo Porto,
uno spettacolo in scena al Teatro Lo Spazio, teatro che rientra in quelli scalcagnati, spettacolo che rientra nella categoria degli “Spessi con Leggerezza” e che mi sento di consigliare fortemente a mia volta.
Lo Spazio è un piccolo teatro a San Giovanni, in una piccola via (via Locri 42) che pare portarti dritto per dritto in una discarica della Barona a Milano.
Invece, come anche alla Barona, si aprono scorci di impensabile poesia, che a me bastano 2 lucine e ci vedo New Orleans.

All’interno c’è anche un piccolo bancone del bar, così puoi bere un bicchiere di vino mentre guardi lo spettacolo, che in questo caso era anche superfluo, ma a volte avrebbe potuto fare la differenza.
Ci siamo quindi accomodati sulle seggiole di plastica (bene, che quando son troppo comode è un attimo addormentarsi), in una platea colma di sofisticati protagonisti del giovane cinema italiano, ed è partita Space Oddity: a cinque giorni dalla morte di David Bowie, l’emozione era già alle stelle ancor prima che l’attore comparisse in scena.
Poi è comparso;
non so come spiegarlo, ma ‘sto Paolo Macedonio è pazzesco.
Lo spettacolo racconta il percorso che da Agrigento – che minchia farò nella vita che tanto mi diverte stare solo con i miei amici a fare niente? – porta un giovane Paolo Macedonio a Roma –ora faccio l’attore da 20 anni e sono ancora in questo piccolo teatro. Come è possibile, quando ovunque è pieno di cani mentre io ho Rambo, Joe Pesci e Al Pacino dentro e dovrei stare, chessò, all’Eliseo? – (questa conclusione è mia, veramente).
E questa vita ci viene narrata sempre e solo da Macedonio nei panni di tutti i personaggi.
Diventa i personaggi.
Si sposta di 30 cm sul palco, si passa una mano tra i capelli, cambia voce e gli cambia anche la faccia.
Fa molto ridere, ma ridere di uno che fa battute in siciliano è banale, solo che lui fa davvero ridere, e anche un po’ piangere: tra l’ilarità del pubblico racconta del rapporto strettissimo di amore con la sua nonna, delle indecisioni, delle delusioni, delle ambizioni proprie e altrui, mancate o conquistate.
Sì, fa ridere, ma pure un po’ di amarezza e malinconia, quella normale della vita di ognuno, a seconda della vita di ognuno.
In un climax di quotidiana vita vissuta, Macedonio ci introduce in casa sua, tra i suoi parenti, tra i suoi amici, nelle aule universitarie e negli studi di registrazione di una Canicattì come Londra negli anni ’80. E poi migriamo nella Capitale, dove trova finalmente il suo posto studiando teatro, recitando, in compagnia di Silvester Stallone, Joe Pesci, AL Pacino e Massimo Giletti
Ma insomma, non è cosa racconta, ma come lo racconta: quella è una storia di molti, ma è bello quando diventa speciale per un punto di vista differente dal tuo, che ti fa immedesimare nelle situazioni. Certo, lui si chiedeva che fare da grande a 18 anni, io a 32 che è quasi il doppio, però…
In più il pubblico è attivo e partecipe come quello del Rocky Horror Picture Show al Cinema Mexico il venerdì sera: urla di gioia e applausi da scorticamento che, quando si riaccendono le luci in sala e ti guardi in torno, le facce son tutte felici e le mani come quelle di Cristo in croce.
Spiegare uno spettacolo così non è facile, perché lui è un attore bravissimo che racconta una storia semplice e densa di aneddoti. Bisogna andare a vederlo.
Lo fa ogni tanto, dunque: fate like a questa pagina così saprete dove cercarlo.
Se dovessero interessarvi i miei pareri teatrali, questa è la mia top five che caldeggio:
Romanzo d’infanzia – di Abbondanza Bertoni
Re Lear – di una qualche compagnia al teatro Leonardo di Milano nei primi anni 2000
Tutto Paolini
Due passi sono – di Carullo e Minasi
Countdown – Maledirezioni