Il Natale ai tempi del Brescia

ATTENZIONE – CONTIENE SPOILER

Natale per me vuol dire Babbo Natale.
E da quando nessuno più intorno a me ci crede, il Natale s’è un po’ appannato. È il 23 dicembre e ancora non ho fatto un regalo, per dire. Un po’ perché sono pigra, un po’ perché ho dovuto pagare una multa, un po’ perché ci spero ancora, che i regali non vanno comprati ma arrivano per mano di Babbo Natale.

Il fatto che io ci abbia creduto così intensamente e che abbia fatto in ogni modo per poterlo intercettare mentre lasciava i regali e mangiava i biscotti, è incredibile considerando il fatto che da piccola temevo le apparizioni mistiche: avevo il terrore che mi apparisse la Madonna, avevo paura di aprire un occhio nel mezzo della notte e trovarmela lì a fissarmi, gigantesca e fosforescente. E ogni notte, siccome facevo le preghiere sempre, chiedevo alla Madonna se per piacere poteva non apparirmi e se poteva non farmi sentire nessuna voce né chiamata.
Invece Babbo Natale l’ho sempre invocato, ho teso agguati, ho sentito l’odore delle renne, il tintinnio dei campanellini della sua slitta, ho visto dei guizzi d’oro in cielo la notte della vigilia.
Finché io e i miei fratelli eravamo piccoli, gli adulti si impegnavano moltissimo nel creare ogni anno avvenimenti strabilianti, piccoli dettagli e ricostruzioni verdiche del passaggio di Babbo Natale.
La mattina del 25, al nostro risveglio delle 6, trovavamo la casa cosparsa da fili d’oro, candeline accese, regali, musiche celestiali, odore di cacca di renna e fieno.

Quando la maestra della scuola elementare ci obbligò ad ascoltarla mentre leggeva un testo nel quale veniva spiegato il processo per il quale i regali finiscono sotto l’albero, pensai che fosse una poveretta. Per me era molto più razionale credere alla magia che alla maestra.

Un pomeriggio di dicembre dei miei 8 anni, per esempio, ero stata al Coin con mia mamma, tutto il tempo attaccata alle sue gonne. Tornate a casa, avevo aperto il suo zaino e ci avevo trovato dentro un vestito della Barbie. Nonostante la dichiarazione della maestra, nonostante la prova nello zaino materno, la mia preoccupazione fu che la mamma fosse cleptomane.

Proprio non esisteva connessione tra genitori e Natale, che per me iniziava il 23 sera perché ai figli di genitori separati capita la fortuna di dover festeggiare doppiamente, avevo 2 famiglie di genitori e 4 famiglie di nonni. Tutti e 6 piuttosto creativi e fantasiosi.
Avevo un’agenda fittissima, programmata almeno da agosto per incastrare pranzi, cene e risvegli magici. Le redattrici di moda della settimana della moda che si lamentano di dover correre da una sfilata di moda all’altra mi fanno ridere.

Il mio tour de force brillantinoso culminava il 25 sera a casa dei nonni materni.
Dopo la cena, proprio mentre infilavo con la forza la terza fetta di pandoro in bocca, Babbo Natale suonava il campanello della porta e là sull’uscio compariva un sacco di juta carico di regali.
Prima di buttarci sul sacco, io e i miei fratelli di quelli già nati, ci buttavamo giù dalle scale, su per le scale, fuori dalla finestra, dentro l’ascensore ma sempre invano, Babbo Natale era già volato via. Il sacco di juta poi era sempre colmo di doni speciali, che non avevamo mai visto nei negozi, oggetti perduti da anni e ricomparsi là dentro per magia, polveri d’oro che si appiccicavano dappertutto… non so quali aggettivi usare se non Magia, perpetua magia. Io ho passato almeno 10 Natali della mia vita senza mai chiudere la bocca, se non per deglutire il pandoro.
Gli ultimi Natali della nostra infanzia li abbiamo passati direttamente attaccati alla porta. Mai un indizio.

Questa messinscena è continuata finché il mio terzo fratello, che leggeva a 7 anni le pagine Economia del Corriere della Sera, ha detto: «va bene, ora basta. Dite pure al Brescia che può andare a fare la cena degli avanzi del 25 a casa di sua figlia, i regali ce li scambiamo tra di noi». Io avevo 12 anni.

Gli adulti hanno dunque smesso di fare tutte quelle cose magiche e stupende, e da quel momento ci siamo scambiati i regali con i bigliettini firmati con il nome proprio.
Se non che, a parecchia distanza da noi 3, è nata prima una cuginetta e poi un’altra sorella.

Bene – abbiamo pensato noi – il Brescia e i nostri adulti dovranno riattivarsi.
E invece abbiamo scoperto che il Brescia preferiva stare a cena da sua figlia, poi abbiamo appreso che comunque era morto. Genitori, nonni e zii non si sono applicati molto per far rivivere alle nuove venute l’atmosfera di incanto e così il ruolo del Brescia è stato preso dal timer della cucina di mia nonna, quel suono sordo che ti avvisa che la pasta è da scolare.
Mia nonna mi faceva l’occhiolino, girava la rotella del timer a trenta secondi, e poi “trrccrrrrcccrcccrrr”.
Non è facile mostrare entusiasmo a cospetto di quel suono e urlare “È arrivato Babbo Natale!”, soprattutto perché il sacco di juta semi vuoto non compariva alla porta, ma sul balcone di servizio.
timer

Eppure, domani e dopodomani mattina mi sveglierò con le farfalle nello stomaco.
Buon Natale a tutti, a chi gli volta il cul e a chi ancora si entusiasma per le lucine, la cannella e Mariah Carey.

Un commento Aggiungi il tuo

  1. Fabrizio ha detto:

    Come ti capisco!

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