Pasti lunghi e molto estesi

Durante queste molteplici festività invernali appena passate ho deciso di non dire mai di no al cibo. Raramente dico di no al cibo, ma in questa occasione ho proprio deciso di mangiare tutto, tutti gli antipasti di tutti i pranzi e le cene di: Vigilia, Natale, Santo Stefano, Avanzi, Compleanni, Capodanno, Avanzi, Befana e Avanzi.

Così questa mattina sono andata a fare la spesa e ho comprato solo verdure e tofu: quella spesa per cui il frigo sembra sempre e comunque vuoto, che quando il Maschio lo apre, esclama «ma non c’è niente da mangiare, Donna!»
È davvero difficile fare un po’ di dieta detox a Roma.

Perché, al cospetto di un frigo apparentemente inconsistente, scendi di casa e ovunque sono disseminate trattorie, osterie e trattorie-pizzerie, dove nel menù i primi sono: pasta alla gricia/matriciana/carbonara/cacio&pepe, gli antipasti sono: i carciofi, i fritti e le bruschette, i secondi sono: la carne, i contorni sono: le puntarelle e la cicoria. Le pizze, beh.

Ai romani sembrerà un’ovvietà, ma a Milano cotanta semplicità, fuori casa, è merce rara e vista anche piuttosto male.
Quando a Milano si esce a cena, il concetto è quello di non ordinare le stesse cose che potresti cucinare nella tua cucina spendendo 2 € anziché 30: dunque, quella pasta con il formaggio grattuggiato sopra e un po’ di pepe che solo a pensarlo fa piangere, è un grosso NO.

Un americano a Roma
Il latte però che schifoo

A Milano i piatti sono composti da almeno dieci ingredienti, almeno uno dei quali con un nome esotico. E trovare una trattoria tipica milanese è una faccenda complicata, bisogna spingersi in periferia estrema o essere disposti ad assistere a un trio di musici che cantano e suonano canti popolari milanesi durante la cena.
Questo perché la trattoria milanese non esiste praticamente più, se non per i turisti: al nord abbiamo i ristoranti macrobiotici/molecolari/giappo-brasiliani/Cracco-Oldani-MasterChef. Se vuoi spendere 15 € vai al cinese, oppure da MC Donalds’. Oppure in una pizzeria, che nell’80% dei casi è cinese.

A Milano, poi, quando è il momento di ordinare  è bello trattenere il cameriere al proprio tavolo almeno un quarto d’ora, facendo domande su ogni pietanza, facendosi togliere e aggiungere latticini a caso, e cambiando idea svariate volte. E il cameriere deve prestarsi a tutto ciò con il sorriso sulle labbra, sennò è un cafone maleducato e la mancia se la scorda e io in questo posto non ci torno più più più.

A Roma no.
Le trattorie sono grezze, male illuminate e i camerieri ti trattano male, in inverno soprattutto, quando sei costretto a stiparti in sale con le luci al neon e le pareti gialline. In estate invece è meraviglioso, si mangia ai tavolini fuori sul marciapiede, ma i camerieri ti trattano ugualmente male. È il gioco della provocazione, all’inverso.
Però è un ambiente caloroso: si va per mangiare un piatto di pasta come lo farebbe mamma, o la coda alla vaccinara che mi piace tantissimo, bere il vino acidulo della casa, e per stare insieme spendendo poco o abbastanza poco.

Da Francesco, Roma
Da Francesco a Piazza del Fico, nei tempi che furono

La trattoria romana è quella di quartiere, i gestori abitano nell’appartamento sopra la cucina, ci si va a pranzo la domenica, il cibo è pesante, genuino e abbondante, il conto viene contato direttamente sulla tovaglia ed è abbastanza leggero. Dunque strisciare la carta è un grosso NO.

Da Augusto, Trastevere
Da Augusto, Trastevere

I romani, poi, cominciano ogni pasto (fuori) con “i fritti”, pure se stai andando a mangiare una pizza, è una cosa che mi stranisce ogni volta ma alla quale mi sono adeguata con somma gioia: un fiore di zucca fritto e poi una prosciutto e funghi.
Qui usano il prosciutto crudo sulla pizza con i funghi, è una cosa che mi stranisce ogni volta e alla quale non mi voglio adeguare.

Poi certo, alcune di queste osterie si sono un po’ infighettate e vabbè.

Fatto sta, le mie preferite, per ora, sono:

Da Augustarello, a Trastevere: romanità allo stato puro, però ciaooo, mangi in uno degli scorci più carucci del mondo.
Pommidoro, a San Lorenzo: un ragù da paura in mezzo a quadri e stampe d’artista, forse in mezzo anche agli artisti stessi.
Sora Margherita, al Ghetto: il più buon carciofo alla giudia (ebbè) e la pastina come la farebbe la mia nonna se si impegnasse con il brodo di carne e la pasta fatta a mano.
Da Enzo al 29, sempre Trastevere: bona, pare che abbiano delle uova speciali dunque la carbonara spacca, ma anche il resto. Non è proprio economica, ma non me la sento di non metterla.
Da Francesco, pieno Centro Storico, a Piazza del Fico: che per essere a sette passi da Piazza Navona, in pieno Centro Storico, che come tutti i centri storici è una trappola per turisti, ci sta. Vario, e animelle.

Debbo dedicarmi più alle periferie…

3 commenti Aggiungi il tuo

  1. stefi ha detto:

    Behhhhh!!!! Che dire??? Abbiamo le stesse trattorie del cuore!! In primis Augustarello, i miei anni ’60 e ’70 li ho praticamente vissuti da Augustarello, allora c’era lui, Augustarello, intrattabile e burbero, adesso c’è Sandro, il figlio, un po’ meno intrattabile ma quasi. E il menu è sempre lo stesso!!! Sempre a Trastevere c’era e credo ci sia ancora, Olindo, lui era il re dell’arzilla, un pesce romanissimo con cui si fa una zuppa con ibroccoli romaneschi da paura, un giorno te la faccio!

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  2. Hidalgo Custoza ha detto:

    C’è una differenza, bella grossa.

    Le “trattorie” non hanno mai avuto i prezzi deliranti che gli impiegati di oggi sono disposti oggi a pagare allegramente.

    Non ci vuole una laurea in sociologia o economia, basta vedere C’eravamo tanto amati e guardare gli indici istat.
    Così si scopre che nel 1948, con tutte le licenze poetiche del mondo, dal “Re della Mezzaporzione” Gassman non può permettersi di pagare un bucatino alla matriciana a 160 lire, in tempi in cui un chilo di pane veniva 100/110 lire.
    Ai prezzi odierni dunque una porzione intera sarebbe stata tra i 2 e i 4 euro, comunque ben lontano dalla rapina dei 7,50 euro odierni postati in foto.

    Il punto è che anche gli aristocratici francesi in certe serate non andavano dallo chef a la mode ma si sparavano una zuppa di cipolle ai mercati generali, ma di certo non sarebbero mai andati in un ristorantino di quart’ordine a farsi rapinare per il gusto fantozziano di dire di essere stati “fuori a cena”.

    Chiunque metta piede in un ristorante che chiede certe cifre per della pasta asciutta ha evidenti problemi di comprensione del reale oltre che di coscienza della propria classe sociale.

    TLDR: farsi rapinare da burini zozzoni ed vantarsene

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  3. tietamadia ha detto:

    Evviva la poesia.
    Sono a Roma da 3 mesi, se volesse indicarmi “trattorie” più economiche e di migliore qualità, gliene sarei davvero grata!

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